martedì 29 maggio 2018

Ieri e oggi. Domani?

Complimenti, insulti e retromarce

Le parole senza regole del sovranismo

Pubblicato il 29/05/2018                                                                                                
Luigi Di Maio, in collegamento con Sky, scorso 18 febbraio: «Carlo Cottarelli ha stilato la lista della spesa che dovrà seguire un governo per prendere soldi dove non servono e metterli dove servono. Il nostro piano di governo ripartirà da lui. Gli altri governi invece di eliminare le spese inutili e i privilegi hanno eliminato Cottarelli». Forse, come hanno scritto alcuni quirinalisti, Sergio Mattarella ha incaricato Cottarelli, così amato dal Movimento, per non dispiacergli troppo. Se è così, una bella ingenuità.  

Lo stesso identico Luigi Di Maio, ieri: «Al ministero volevano Cottarelli del Fondo monetario internazionale che ci ha riempito la testa che dobbiamo distruggere la scuola e tagliare la sanità». Usare gli strumenti della logica non ha più nessuna logica. Pensare a Cottarelli per la ragione che il Movimento parlò bene di Cottarelli è una ragione irragionevole. Andrea Roventini, indicato da Di Maio al ministero dell’Economia prima dell’assunzione celeste di Paolo Savona, confermò: «Si possono fare tagli mirati alla spesa realizzando il piano Cottarelli». Alessandro Di Battista, domenica sera: «Cottarelli è un uomo del Fondo monetario, è la dimostrazione che avevano un piano già pronto». Non si scrivono queste cose col medesimo spirito di Mattarella, ossia con la speranza di cavarne qualcosa. Non se ne caverà nulla. La coerenza non è da un bel po’, o probabilmente da mai, un requisito essenziale per fare strada in politica. 

Anzi, oggi l’incoerenza è più redditizia tanto più è sfrontata. Nessuno sarà chiamato a renderne conto poiché prevale l’avvenenza dell’impudente: l’incoerente di sfuggita, che cerca di svicolare dalle cose fatte e dalle cose dette, sarà travolto dall’incoerente impetuoso, che urla la sua incoerenza e travolge il passato con un cazzotto sul tavolo.  
«Cottarelli è molto bravo, ha una grande esperienza internazionale», disse Silvio Berlusconi un pomeriggio di marzo in conferenza stampa, mentre alla sua sinistra Matteo Salvini approvava. Salvini ieri: «Cottarelli è l’emblema di quei poteri forti per i quali l’Italia o si allinea a certi diktat o non ha diritto di dar seguito alla volontà popolare». Ma che importa? Volete dire a Salvini che era potere forte lui allora, o non è emblema Cottarelli oggi? A che servirebbe? Salvini aveva trascorso mesi a chiedere a Berlusconi un patto antiribaltone dal notaio per impedirgli col bollo, dopo le elezioni, di mollare il centrodestra per fare il governo col Pd. Ecco, dal notaio non sono andati e Salvini ha mollato il centrodestra per fare il governo con Cinque stelle. Tutto buono. Tanto i voti li prendono lo stesso, non scuote nulla in nessuno.  

Però, giusto per divertirci qualche minuto. Di Maio, giovedì: «Della squadra dei ministri se ne occupano il presidente Conte e il presidente Mattarella». Di Maio, domenica: «È inutile, i governi li scelgono sempre gli stessi». Di Maio, ieri: «Mattarella è andato oltre le sue prerogative». Dunque impeachment, messa in stato d’accusa. Prima poteva, dopo non può più. Secondo Salvini, non poteva neanche prima, e siccome Mattarella s’era scocciato e aveva chiesto di piantarla coi diktat, Salvini s’era scusato - è un semplice spiacevole fraintendimento. «Ma quale diktat, piuttosto idee, proposte, suggerimenti...». Era giovedì. Poi è arrivata domenica anche per Salvini. Poteri forti, lobby, banche, sovranità, mancava soltanto «plutocrazie».  

A quel punto Paolo Savona non era più un’idea, una proposta, un suggerimento, era il caposaldo del cambiamento. E ancora Di Maio: «In questo Paese puoi essere un criminale condannato, un condannato per frode fiscale, puoi avere fatto reati contro la Pubblica amministrazione, puoi essere una persona sotto indagine per corruzione e il ministro lo puoi fare, ma se hai criticato l’Europa no». E di nuovo Di Maio: «Un’alternativa a Savona era Armando Siri», e cioè uno che ha patteggiato per bancarotta fraudolenta, e quindi condannati sì o condannati no? È irrilevante. Condannati no o condannati sì, dipende dal giorno, dall’ora. Di Maio lo ha spiegato, ieri, «dobbiamo combattere le bufale, le menzogne, le falsità dei media». Ecco, sarà colpa di media se Alfonso Bonafede (M5S) ha liquidato Cottarelli: «Nemmeno si è presentato alle elezioni». Sapete chi è l’ultimo presidente incaricato che nemmeno si era presentato alle elezioni? Giuseppe Conte. Non è fantastico? E non è fantastico che l’altro totem della coalizione, e cioè il solito Savona, nemmeno fosse eletto e non fosse nemmeno candidato? 

E fantastico e lo è soprattutto perché funziona. Le memoria sono tutte piene, come quelle dei telefonini. Non ci entra più nulla se non lo squillo dell’istante. Ieri mattina i mercati si sono aperti con il calo dello spread, e Salvini ha detto guarda caso, ci fanno fuori e lo spread scende; poi lo spread ha ricominciato a salire e Di Maio ha detto guarda caso, allora è vero che usavano lo spread contro di noi, «ma era una bufala».  

È come quando da ragazzi giocavamo alla schedina e mettevamo 1-X-2, l’unico modo di pigliarci sempre. Soltanto che potevamo farlo una volta sola. Loro possono sempre. E qui ormai siamo alla pesca a strascico. Salvini, dicembre 2017: «Escludo l’appoggio della Lega a un governo Di Maio. Basta vedere Spelacchio a Roma. Dico no al governo Spelacchio». E poi aggiunse (ossignùr) che va bene cambiare idea, ma «il Movimento cambia idea continuamente». Di Maio replicò: «Questa di Salvini è una buona notizia: finalmente vi metterete l’anima in pace su accordi o inciuci tra M5S e Lega». E poi aggiunse (maronna) «noi cambiamo idea? L’ultima volta aveva detto “perché no?”. Ci usa soltanto per fare notizia. Nessun accordo, nessun inciucio». È perfetto così, non è successo niente, mai niente, avanti verso il prossimo Spelacchio.

"Buongiorno" di Mattia Feltri su La Stampa del 29 maggio 2018

lunedì 28 maggio 2018

Nonostante tutto

UN SORRISO
Cos'è un sorriso
se non la voce silenziosa della tua anima,
la dolce bellezza che si dona al tuo volto.
Sorridi amore,
sorridi sempre,
solo così potrai
apprezzare ogni singolo
istante della tua vita.
Sorridi a te stesso
mentre ti specchi,
sorridi al cielo che ti avvolge con il suo manto trasparente,
alla terra che sostiene i tuoi passi,
all' acqua che sa dissetarti,
e al sole che sa riscaldarti.
Sorridi anche alla pioggia
quando silenziosamente
dona la vita al mondo,
ai semi che sanno offrirti fiori e frutti,
alle nuvole che si rincorrono lassù.
Un sorriso anche
agli anziani che incontri
per strada,
ai bambini che giocano
in cortile.
Sorridi alle aurore
come ai tramonti
e non dimenticarlo
di farlo anche alla notte
con la sua luna
e le sue stelle.
Lancia un sorriso
anche ai tuoi sogni,
alle tue idee
come alle tue speranze.
Sorridi a chi vuoi,
ma sorridi
e vedrai che anche gli altri
impareranno a farlo.
Sorridi anche alle tue angosce,
ai tuoi dubbi
come alle tue tristezze
e vedrai che ti sembreranno
meno pesanti.
Infine sorridi a me
quando ti sono vicina
e quando sono lontana,
quando piango
per infondermi coraggio,
quando sorrido
per condividerlo,
quando mi distraggo
per riportarmi
nel nostro unico mondo...
( Dora Addeo )

Mala tempora currunt




giovedì 24 maggio 2018

Cose così

I misteri mi piacciono finché sono misteri tipo cubo di Kubrick: cerchi di risolverlo, poi lo sbatti sul pavimento e lo mandi al diavolo, senza nulla guadagnare o qualcosa perdere.
Quando sono misteri che rischiano di angustiarmi l'esistenza più di quanto questa sia angustiante di suo, cerco di accantonare quanto possibile, nella certezza che prima o poi qualche mente eccelsa svelerà l'arcano a favore anche di chi, come me, preferisce non affrontare il problema.
Poi ci sono i misteri che ti capitano tra capo e collo, che non riesci ad evitare e, per quanto ti scervelli, non riesci a venirne a capo.
Allora si accende la lampadina di Archimede, quello che risolve i problemi a tutta la banda Disney. Nel caso specifico solo per dare un'indicazione: divulgare il problema, sminuzzarlo tra tante menti pensanti, tipo chi frequenta Blogger o Facebook.
Magari non ne verrà una soluzione ma, diluito, il mistero finirà per apparire quasi insignificante.
Dopo questo incipit, voglio precisare che quanto segue è una specie di film di un vissuto recente, che vorrei mettere sotto censura ancora prima di raccontarlo.
Ammesso che riesca a introdurle, in questo filmato ci "potrebbero" essere immagini non in sintonia col mio bloggare regolare.
Pertanto lo piazzo sotto lo scudo del "vietato ai minori di 80 anni", dando per scontato che dopo quell'età più nulla possa turbare occhi e menti, poiché si dovrebbe avere visto tutto il peggio del visibile.
Introduzione: scena di vita serotina in interno.
Un sabato sera, ore 22,30 circa.
Lo spazio scenico si presentava così:
- la cognata seduta sul divano, teoricamente guardando un film in tivvù, con alternanza di crolli di capocchia e momentanei sussulti da risveglio;
- al suo fianco, appollaiata (sarebbe meglio dire aggattaiolata, ma non è termine molto usato, forse del tutto inesistente) sul bracciolo dello stesso divano, Blu, la gatta di casa, anche lei oscillante tra il film, la congenita sonnolenza e soprattutto l'attesa che vada a mia volta a sedermi sul divano per potersi accoccolare sulle mie ginocchia;
- io, seduto su uno sgabellino appositamente piazzato accanto al caminetto, attento marginalmente al film e più intento a che il fumo della sigaretta si inoltri nello stesso (quando non vado in giardino questo è il posto preferito per sfumazzare; oltre al bagno; colà per rinverdire ricordi lontanissimi di fumate a rischio di schiaffoni).
A parte le stupidate del film, di cui infatti manco ricordo il titolo, c'era un silenzio silenzioso, per non svegliare le due dormienti interrompendo i loro sogni, di già spezzettati dall'alzo di volume stupidamente improvviso delle pubblicità ricorrenti.
La cognata non so, ma la gatta mi è sempre piaciuto pensarla sognante grassi e appetitosi topi topini toponi, che peraltro sapevo che neanche in sogno avrebbe catturato e ucciso come legge di natura comanderebbe.
Quanto al mangiarli, ho l'impressione che il vomito, ogni tanto seminato per casa, sia proprio dovuto a quell'incubo, alternativo ai croccantini menu quotidiano.
Parte prima del filmato scritto.
Come detto, mi trovavo con l'occhio sinistro verso il caminetto a seguire il fumo per indirizzarlo all'interno dello stesso; quello destro oscillante tra televisione e le due appisolate, tipo l'occhio di un camaleonte.
All'improvviso, in questo girare lo sguardo a 180° mi era sembrato di vedere, verso il fondo della stanza, una specie di ombra nera, un lampo veloce verso la libreria.
Forse un baluginìo di riflesso dal televisore...
Con questa convinzione mi ero nuovamente concentrato nel mio compito di attesa dell'ora della nanna.
Ancora... e non era un baluginìo...
Era "qualcosa" che scorrazzava liberamente per casa.
Primo pensiero: un topino, forse infilatosi in casa in un attimo di disattenzione.
Secondo pensiero: impossibile!
Con una cognata che sente il battito d'ali di un moscerino; con una gatta adulta che "dovrebbe" sentire la presenza di un topo; con gatti che vanno e vengono in giardino come in una stazione della metro...
I gatti più famosi della storia risalgono all'antichissimo Egitto, dove erano venerati come semidei, a ragione ben veduta: infatti nella storiografia di quel luogo si parla di gatti, a miglior memoria mummificati come i faraoni, e non mi pare ci siano tracce di topi o pantegane o collaterali.
Da qui a dedurre che i gatti di allora sapevano qual era il loro dovere e lo assolvevano con religioso impegno è un passo obbligato.
Terzo pensiero: da buon gatto sarò io a scoprire il fantasma o la belva che si aggira per casa.
Quarto pensiero visivo: è un topo!
"C'è un topo!".
Sotto la libreria.
Cognata che schizza fino al soffitto, gatta (infame) che la segue spaventata.
Caccia grossa: aperta via di fuga (al nemico che fugge, ponti d'oro...), scopa con manico roteante, baccano, spazzolate sotto il mobile.
Gatta (sempre infame) che segue tutte le operazioni da vicino con il massimo interesse, guardandosi bene dal prendervi parte in maniera attiva.
Si era fatta mezzanotte, il sonno era andato a farsi friggere, e noi ancora in attesa che la belva uscisse di casa per tornare nella foresta. esterna.
Scopa, racchetta antizanzare ben sistemate a giusta altezza, in tenace attesa delle mosse del nemico.
Silenzio tombale, per sentire il minimo rumorino, uno squittio, che ci indicasse il migliore punto di postazione.
Si era fatta l'una, e la tensione aveva lasciato il posto a una sonnolenza non più contenibile.
Cognata e gatta cominciavano a guardarmi dubbiose, inizio della convinzione che mentre loro dormivano io avessi tenuto loro giusta compagnia, appisolandomi e sognando.
Un topo.
Ovvero, meno prosaicamente, che fossi rincoglionito...
Non potendo escludere del tutto la presenza del ratto, avevamo messo in atto un astuto piano d'emergenza.
Chiuse le porte del soggiorno, aperto un spiraglio della porta del giardino, bustina topicida subito fuori nel terrazzo... e tutti a nanna.
Mattino: prima delle operazioni solite che seguono i risvegli avevamo aperto con cautela la porta del soggiorno; nessun movimento.
Dal terrazzo era sparita la bustina...
Ergo, il topo c'era stato, e la mia sanità mentale, per quella volta, era salvata.
A pulizie e bisogni del mattino adempiuti, a colazione rilassante, a verifica sommaria sulla presenza di eventuali cadaveri in vista, eravamo passati alla disinfezione operando sui presunti passaggi del roditore.
Da sotto la libreria erano spuntate pallottole di polvere, un paio di viti residuo del montaggio del mobile e... una cosina non ben definibile, almeno sul momento.
Per farla breve, non era un topo quello a cui avevamo dato la caccia, bensì una topa.
Gravida, aveva scambiato il nostro soggiorno per una sala parto, aveva scodellato il frutto dei suoi amori e se ne era andata, insalutata ospite, lasciandoci un ricordino del suo passaggio.

Questo, malamente fotografato per imperizia congenita irreversibile.
Era lungo meno di un centimetro e per ottenere una foto decente (vabbé, si fa per dire...) avevo frapposto una lente d'ingrandimento tra il soggetto e l'obiettivo del cellulare.
Forse un po' deformato, dà l'impressione di una creatura preistorica, dinosaurica direi.

             

Per chiudere il racconto: brutta fine (probabile) per la topina, brutta fine (accertata) per il pargoletto.






domenica 13 maggio 2018

In festa della Mamma

       ♥ Tanti cuori oggi, per la festa della Mamma; cardiologi a secco
           ♦ Tanti i quadri oggi, a onorare la Mamma; musei saccheggiati
           E quanti fiori oggi, tutti per la Mamma; i fiorai ringraziano 
           ♠ E oggi, ma solo oggi, niente picche (forse?)
       
Macedonia di pensieri in libertà.

Otto marzo festa della Donna, tredici maggio festa della Mamma.
In poco più di due mesi delle donne assassinate abbiamo perso il conto.
Di queste, buona parte erano mamme, alcune di bambini in tenerissima età, che non avranno più alcun motivo di festeggiare in futuro questo giorno di festa; altri, più grandicelli, la vivranno come si vive un incubo, senza fine.

Ha avuto la "fortuna" di perdere sua madre prima che questa gli potesse insegnare a sillabare 'mam-ma', che per tradizione è il primo termine che i neonati imparano.
E memorizzano per tutta la vita.
Anche in punto di morte, magari centenari ma ancora senzienti, pare sia la chiamata più gettonata.
Che segue quella citata per tutta una vita, nelle più svariate occasioni.
Col tempo si era reso conto che si tratta di una "fortuna" capitata a milioni di bambini. Come detto in apertura del post, quando non si perdono per cause naturali, c'è chi vigliaccamente incrementa la casistica.
Con tanta compagnia non ha neanche avuto il piacere di sentirsi un privilegiato.
Morta lei, a nessuno era venuto in mente di 'insegnargli' questo sostantivo.
E poi, insegnarglielo a che scopo?
Sapendolo, a chi avrebbe potuto rivolgersi chiamandola 'mamma'?
Crescendo se lo era insegnato da solo, mettendolo nella cartellina delle parole inutili, delle conoscenze fini a se stesse.
Un semplice singenionimo...
Una volta che aveva scoperto, secoli fa, che mamma deriva da mammella, quale mammella di madre lo avrebbe mai più allattato?

Oh, non piangete per lui: in realtà di madri ne ha avute a bizzeffe, ma nessuna ha potuto chiamarla 'mamma'. Non avendo imparato a tempo debito quel termine, con la crescita fisica non avrebbe più avuto alcun senso.
Madri/sorelle tante, padri/fratelli altrettanti.
Mamma nessuna, padre nemmeno.

La prima donna che gli era stata presentata come mamma era una Madonna.
Non poteva ricordare quale, fra le tante che per un lunghissimo periodo gli era stato chiesto (metaforico) di venerare, amare, pregare.
Ricorda, però, che una delle sue prerogative più osannate, inculcata, inoculata quotidianamente in menti assetate di 'sapere', era il fatto di essere vergine.
Su questa situazione non aveva mai avuto dubbi: chi lo circondava di affetto (e di ceffoni) era convinto di questo e lui non aveva motivo di metterne in dubbio l'autenticità.
Non aveva idea di cosa fosse una mamma, come avrebbe potuto disquisire su un'altra cosa, ad essa attinente, di cui nulla conosceva?
Allora, non aveva la più pallida idea di cosa fosse la verginità e cosa la rendesse così preziosa. Se qualche anima buona, meglio se non troppo pia, gli avesse spiegato, anche sommariamente, l'evoluzione della faccenda, avrebbe potuto meglio valutare quel concetto.
Tra l'altro, in illo tempore, parlando dell'olio si sapeva che era una spremuta di olive e basta; che l'olio potesse essere vergine, o addirittura più che vergine, si sarebbe saputo nei decenni successivi; e anche per questo dal 'poter essere' si era passati al 'dover essere', per legge, anzi, visto l'ambiente, per dogma.
Quindi, anche ne fosse stato a conoscenza, forse non avrebbe in alcun modo potuto collegare i due tipi di verginità; anzi, senza forse, lo avrebbe mandato in maggior confusione.
Che poi, a ragion veduta, lo avrebbe lasciato assolutamente indifferente. Il tipico caso in cui sapere e ignorare vanno a braccetto, danno lo stesso risultato, senza sottilizzare su considerazioni teo-filosofiche che lasciano il tempo che trovano.
Col passare degli anni, ancora si chiedeva a chi diavolo fosse venuta in mente l'abbinata madre/vergine, con un contrasto fisiologico evidente e innegabile, che ha fatto scorrere inchiostro a fiumi e scontri epocali tra chi la propugnava e chi la riteneva semplicemente improponibile.
A chi giovava il concetto che la verginità fosse indicativa della purezza di una donna, quando per l'uomo questo requisito non è previsto?
Una donna santificata da un martirio in nome della fede o da altri meriti, nel caso sia riconosciuta 'anche' vergine, acquisisce un ulteriore "pregio". Per l'uomo, anche lui fatto santo per martirio o merito, non risulta che ne venga esaltata anche la verginità.
Pensieri, a tempo perso...

Diverso il discorso su un'altra importantissima prerogativa di quella che gli veniva (ripeto: quotidianamente e in tutte le salse) proposta come mamma: oltre che sua risultava anche madre di Dio, e oltre ancora madre di miliardi di altri esseri umani, viventi e defunti.
Dei quali, sia detto per inciso, non poteva fregargliene di meno.
Ma una piccola operazione matematica lo aveva erudito su quella che sarebbe stata la sua giusta posizione nel creato: se la madre di Dio era anche sua madre, valeva il conto elementare del due più due, lui era fratello di Dio.
Quindi anche lui era dio: un dio minore, forse un mini-cadetto, ma comunque qualcosa di più dello scarabocchio che sembrava fosse.
Venuto a conoscenza di quello che sarebbe dovuto essere il suo rango non si era montato la testa, anzi...
Con una forza di volontà sovrumana (appunto) aveva tenuta ben nascosta la sua scoperta. Si ero reso conto che il divulgare questa notizia avrebbe potuto metterlo in un sacco di guai.
Intanto con le lezioni di catechismo: se alla classica ripetitiva domanda "Chi è Dio?" gli fosse sfuggito un "Lo sono anch'io!", magari sussurrato per modestia, la reazione immediata sarebbe stata un trasferimento dalla struttura educativa in cui era coatto a una struttura ri-educativa, dove con elettroshock, botte e sedativi a secchiate, avrebbero cancellato dalla sua mente questa, per loro insana, convinzione.
E la "Basaglia" non era ancora manco in embrione.
Sapeva, già allora, di gente che per molto meno era finita sul rogo, bruciata viva...

(Esperienza diretta, a mo' d'esempio: nel corso di una discussione tra compagni di scuola, a un ragazzo indigeno era sfuggito un "Mi diu mac..." prontamente recepito da un assistente borbonico come bestemmia. Il ragazzo si era salvato dalla lapidazione immediata solo per il fatto che nel cortilotto della ricreazione non c'erano pietre. Portato davanti al sinedrio, aveva avuto la fortuna di incocciare in un giudice togato (erano tutti togati, anzi tonacati) suo corregionale, che aveva giustamente tradotto la 'bestemmia' in un più accettabile "Io dico solo...", assolvendolo, con l'invito ad evitare in futuro altri rischiosi accostamenti che espressioni dialettali avrebbero potuto provocare in menti ottusangole e fanatiche).

A parlarne nelle periodiche confessioni, neanche pensarlo: già gli ispirava poca fiducia un tizio (forse un prete) il quale, al di là di una fitta grata che lo rendeva irriconoscibile, poneva domande a non finire, anche su temi che a lui parevano delicati e privati, quasi inquisendolo alla ricerca di chissà quali segreti. Al primo simposio tra confessionisti avrebbe spiattellato il fatto di avere per 'cliente' un dio in incognito che lo faceva partecipe della sua posizione in vista di una possibile, e altamente improbabile, elezione al soglio romano.
Cielo, in questo caso c'era la quasi certezza che la camicia di forza l'avrebbero messa all'eretico... ma qualcosina sicuramente l'avrebbero avanzata anche per lui.
Riepilogando: senza mamma, fratello di un dio che lo ignorava o lo aveva ripudiato, con un altro fratello che, secondo la Storia, era finito maluccio (è vero, risorto dopo tre giorni, da poco ne è stato festeggiato il trionfo... ma non era a sua conoscenza che l'evento si sia ripetuto con altri figli, fratelli suoi anonimi), per cui aveva ragione il saggio quando diceva che il tacere allunga la vita e la rende meno perigliosa.

Ragionando a freddo: sua madre, oltre a tutte le qualità personali che le sono state attribuite, ha realizzato molte lucrose iniziative, sparse in tutto il globo, riuscendo perfino a inserirsi in un libro sacro gemello del vangelo, e che è guida di una religione che ha tra le priorità assolute l'eliminazione fisica della concorrenza: il Corano.
Quindi tra potenza economica, politica e spirituale, altro al mondo non c'è...
Teoricamente dovrebbe essere stato inserito, sempre in illo tempore, non tanto in una ipotetica iscrizione dinastica quanto nell'asse ereditario di tutto questo bendidio.
Forse era stato "ospitato" per tanti anni, ignorato/cancellato dal vivere comune, proprio con lo scopo di estrometterlo da questo diritto sacrosanto?
"La maschera di ferro", scritto e cinematografato anni dopo, poteva essere un plagio della sua prigionia?
Tante domande, nessuna risposta.
Resta il fatto che aveva passato la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua prima adultità, circondato da decine di madri mascherate da sorelle, da una madre virtuale universale... ma di una mamma vera manco l'ombra.

Ultimo paragrafo della storiella: è tradizione, quando ci si sposa, che i suoceri diventino "mamma e papà", con scambio reciproco della nuova parentela.  Non avendo appreso questi termini quando sarebbe stato il momento, non aveva potuto inaugurarlo al momento del fatidico sì.
Forse per il fatto di non avere avuto una mamma da offrire in cambio di quella nuova, adeguarsi all'usanza in età quasi adulta lo avrebbe ritenuto ridicolo. Affetto, e tanta cura essendo entrambi già anzianotti e malandati in salute, questo sì, a vagonate.
Ma erano rimasti suoceri, e la moglie, figlia loro, non aveva mai insinuato la possibilità di chiamarli 'mamma e papà'.

Per finire in gloria: auguri a tutte le mamme, a quelle che già lo sono e a quelle che lo saranno.
La speranza, e l'augurio, è che tutte si salvino da questa incomprensibile e inaccettabile follia che sta attraversando la Terra, che porta a massacrare quanto di più caro e prezioso e unico ci sia: la mamma, appunto.













martedì 8 maggio 2018

Elogio dell'ignoranza


L'ignoranza è una dote che col passare del tempo diventa virtù.
Se tutti nascessero "saputi" questo sostantivo non avrebbe motivo di trovarsi inserito nel vocabolario.
Parlo dell'ignoranza dei cosiddetti 'tempi andati', quando questa, giustamente connaturata nei bambini, veniva colmata nel tempo, negli anni, in decenni di scoperte continue che via via colmavano le lacune iniziali, fino all'ultimissima esperienza che chiudeva il tempo dell'apprendistato.
Per sempre.

Oggi, ormai, la nascita di un bambino segue regole precise, che hanno stravolto quello che è stato per migliaia di anni l'andazzo di un parto.
Intanto, prima del neonato, dal canale vaginale escono, nell'ordine, un tesserino con il codice fiscale, poi un telefonino personale, ultimissimo modello se la partoriente, o chi per lei, se lo può permettere, altrimenti un modello del nese precedente il parto, quindi già obsoleto e da cambiare subito dopo l'uscita dalla clinica, per non creare traumi al nascituro che potrebbe sentirsi discriminato nei confronti di pargoletti più tecnolocizzati.
Il quale nascituro, sempre parlando di oggi, dimostra da subito di avere appreso come gira il mondo: sarà la placenta, saranno le acque che, analizzate al momento della rottura, dicono se sono sulfuree, di Fiuggi, di Montecatini, di Caronte, di san Bernardo, insomma di acque nobilitate dalla pubblicità...
Ovvero di semplici acque da rubinetto, arricchite di cloro e ferro da ruggine di tubi antichi, magari contenenti piombo di tubature dell'epoca romana.
E poi con tracce di uranio, plutonio, arsenico, perfino di stronzio che, oltre ad essere dannoso, fa pure schifo già dal nome, pur se storpiato.
E ci sono pure tracce di H2O, che sono le più difficili da individuare.
Fatto sta che se il parto avviene regolarmente cefalico, con l'aiuto terminale e delicato del forcipe, garantito al limone che il primo vagito del neonascente sarà un "vaffanculo" all'ostetrica che, involontariamente durante la leggera trazione, ha impigliato un orecchino provocando la detta reazione.
Podalico: se di piede, "vaffanculo, il solletico fallo a tua madre"; se di natiche, "vaffanculo, la mano morta la fai con tuo fratello".
Ventosa, usata con particolare attenzione per il rischio di allungamento, comunque provvisorio, della sommità cervicale: qui l'epiteto dei casi precedenti è di natura letteralmente pornografica, poiché è l'invito all'ostetrica ad andare a 'pompare e succhiare' altrove.
La differenza tra i vari tipi di acque in rottura è evidenziata dalla tonalità dei "vagiti": delicata al limite della preghiera con le acque pregiate, prepotente e offensiva al limite di denuncia quella comune del rubinetto.
        
Il vanto d'essere ignoranti è stato sublimato da un noto personaggio, ufficialmente cantante, che si è autonominato "re" di questa diffusa categoria. Non avendo ricevuto contestazioni il titolo gli è rimasto, a suo onore e gloria imperitura.
Di questo re mi piacciono tutte le canzoni, alcune le canticchio pure; non mi piacciono i suoi soliloqui silenziosi, con bevute d'acqua continue manco avesse problemi di prostata.
Non riesco mai a capire se ha perso la battuta o se, con le grattatine di labbra e mento, manda messaggi subliminali a qualcuno; e, non essendo io quel qualcuno, li traviso come una presa per i fondelli.
E questo, più che ignorante, mi fa sentire cretino.
Se esiste un re di qualcosa, per forza devono esserci dei sudditi...
In fondo siamo tutti, almeno parzialmente, ignoranti, ergo sudditi di questo o di altri re similari.
Un abilissimo chirurgo, che taglia e cuce per mestiere, è probabile sia totalmente ignorante nel campo sartoriale.
Un ingegnere aeronautico non è detto che sappia alcunché di culinaria.
Un prete o una monaca si presume siano ignoranti in fatto di sesso, perlomeno quello applicato (ma su questa interpretazione c'è il fondato dubbio che i preti 'ignorino' per contratto ecclesiale, studiando peraltro teoria nei confessionali; altrimenti non si spiegherebbero gli insistenti "quanto, quando, come, con chi, ecc.", prodromi di una eventuale pratica diretta; informazioni passate poi alle monache, sempre tramite confessionale, con suggerimenti sussurrati su quanto-quando-come-conchi-ecc. Ma sono solo illazioni maligne, in parte dovute al pensiero che essi possano 'operare' senza pagare dazio come gli altri comuni mortali).
I giudici talvolta sono mastri di leggi e codici, ma saranno ignoranti, per esempio, in medicina o farmaceutica...
(No, questo capoverso lo devo eliminare: avvenimenti recenti hanno dimostrato che, almeno questi due campi citati rientrano nelle loro specifiche conoscenze e le inseriscono nelle loro sentenze, ormai multidisciplinari). Diciamo che non hanno il pallino della meccanica. Forse.
Comunque anche loro hanno un bel bagaglio di ignoranza, per esempio sull'evoluzione dei tempi, quando continuano imperterriti ad applicare leggi preistoriche senza contestarne apertamente la vetustità.

Velo pietoso su chi si butta in politica; velo prossimo ad essere lenzuolo sudario. Teoricamente usato, questo, per coprire il corpo dei dipartiti a miglior vita; soprattutto il loro viso, quasi a velarne una specie di vergogna nei confronti di chi hanno abbandonato, talvolta veramente addolorati.
In campagna elettorale sanno tutto, sanno come muoversi nei meandri della burocrazia, sanno di economia, di sanità, di 'politica' intesa come polis...
Strombazzano ai quattro venti, e anche oltre, il loro essere al servizio dei cittadini, del popolo, del Paese...
Tutto è loro chiaro, anzi limpido...
Passata la festa, gabbatu lu santu, l'unica operazione in cui si mostrano abilissimi è la difesa ad oltranza delle poltrone appena 'conquistate'. Feudi, baronie, ottenute per merito o per grazia ricevuta.
Che la Nazione stia andando in malora a causa della loro incapacità a trovare le soluzioni promesse, non potrebbe fregargliene di meno.
Dal loro vocabolario è sparita la vergogna. 

mercoledì 2 maggio 2018

Cara Terra, usa&getta

A margine dell'Earth Day 2018, per noi Giornata della Terra, appena "festeggiata", una breve carrellata su quella che è la situazione dei rifiuti in genere e delle plastiche in particolare.
Tre immagini che dicono più di tante parole.

La prima è quella più conosciuta, ampiamente divulgata dai media e dal web. Una delle tante isole "artificiali", dove prima o poi sarà concesso costruire, non appena il troppo carico toccherà il fondale.
Si comincerà con le palafitte per arrivare poi a grattacieli in gara per quello più alto.

"Così tra questa immensità s'annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare"... 

... poetava Giacomo Leopardi due secoli fa nel suo 'Infinito'. In duecento anni l'ermo colle si è trasformato in montagne di rifiuti, in putride isole artificiali, le cui cime ed il cui mare a tutto invoglia meno che a salutari arrampicate o a nuotate corroboranti.
La seconda immagine, leggermente meno nota (almeno a me, ma non faccio testo essendo molto in arretrato con le belle notizie) apre la stura a interpretazioni le più diverse e colorite.. 


Patrimonio dell'umanità dal 1988, in origine era stata cooptata per la salvaguardia della fauna marina e isolana, con boschi di corallo e animali tipici dell'isola. Come sia stato possibile un accumulo di rifiuti così vergognoso, visto che l'isoletta non è più stata abitata e che, grazie alla conquista 'ecologica', è ormai inabitabile, è un mistero.
A questo punto mi chiedo perché le nostre discariche (senza riferimento ai monumenti abbandonati che fanno storia a sé), non possano fregiarsi anch'esse del prestigioso titolo.
E la Terra dei Fuochi?
E i nostri incendi boschivi?
Non meriterebbero di ottenere l'ambito riconoscimento?
Siamo forse i figli della serva?
Non sono questi monumenti (ok, all'imbecillità) degni di salvaguardia?
Secondo una ricerca a livello mondiale siamo terzi consumatori di plastiche, dopo Messico e Thailandia. Già medaglia di bronzo, puntiamo a salire sul podio più alto.
E siamo sulla buona strada, se fosse vero il sondaggio che racconta di come due italiani su tre ritengano migliore e più sicura e più salubre l'acqua venduta in contenitori di plastica. 
Il 67%...
Se parlassimo di risultato elettorale, un esito simile vorrebbe dire essere a un passo da una possibile, anzi probabile, dittatura.
Senza mescolare diavoli e acque sante, è fuori luogo parlare di dittatura della plastica sul nostro vivere quotidiano?
Una dittatura che rende ai concessionari qualcosa come circa tre miliardi di euro (dati del 2015), solo in Italia. Per un liquido prezioso che ufficialmente è gratuito.
Tre miliardi per contribuire ad affossare (meglio: plastificare, imbalsamare, mummificare) il nostro pianeta. 
E noi.

So che sono discorsi che oggi sono accolti con sbadigli di sufficienza, ma mi piace andare indietro nel tempo e ricordare quello che eravamo e di come si viveva.
Le acque in bottiglie di plastica fecero la prima comparsa negli anni '60; erano una novità, un segnale del mettersi al passo col resto del mondo moderno dopo le batoste della guerra.
Sembravano "americanate" e come tali significavano il top della leggerezza e del risparmio.
Prima l'acqua detta "minerale" era venduta in bottiglie di vetro, da un litro (non so se per scelta o per legge). Ricordo bene, nella zona in cui allora bazzicavo, la San Bernardo, ma credo che altrove ci fossero acque altrettanto valide sotto l'aspetto depurativo, con cui ammiccavano a chi poteva permettersele.
L'acqua del rubinetto, quando c'era, era un bene di tutti. Senza studiare più di tanto sul suo contenuto di metalli o prodotti chimici naturali. 
In colonia marina, noi ragazzini andavamo alla disperata ricerca di gocce d'acqua succhiando direttamente con la bocca dai rubinetti, mammelle metalliche per gole riarse dalla salsedine. Forse quelle gocce contribuivano alla formazione di anticorpi, altro che depurare.
Erano lacrime di H2O, senza etichette e senza pubblicità.
I vetri di allora, tutti, erano "vuoto a rendere", ossia al primo acquisto si pagava una quota di cauzione che garantiva il rientro del vuoto. In cambio di altro pieno, di acqua, birra o altri liquidi. 
Un modo per vincolare l'acquirente a una fedeltà continuativa, salvo perdere il costo del vuoto.
Pesate oggi, si trattava di poche lire, ma all'epoca avevano la loro considerazione nell'economia domestica.
Un po' quello che succedeva con le bombole del gas, che infatti era impossibile trovare nelle discariche o lungo le strade; sarebbe stato come buttare soldi dal finestrino di una vettura.
Le acque dei rubinetti erano naturali; diventavano "minerali" e frizzanti in casa, con l'aggiunta di bustine di idrolitina; cedrate, aranciate, chinotti, nascevano dall'amalgama nel liquido di bustine o di fialette specifiche per ogni prodotto.

Il latte. Era venduto in bottiglie di vetro da un litro, col tappo di carta stagnola. Vuoto a rendere.
O con bottiglie di vetro o con contenitori in acciaio si faceva rifornimento giorno per giorno nelle latterie, che ricevevano il liquido fresco proveniente dalle campagne circostanti, in recipienti d'acciaio inossidabile. Noi ragazzini, più che dal latte eravamo attratti da questi bidoni luccicanti, con manici e chiusure a vite.
Le latterie, quelle segnalate dall'apposita insegna, avevano inserito nel banco un contenitore, da cui prelevavano il latte da mescere nelle bottiglie o nei baracchini, per il quantitativo richiesto.
Più avanti avevano visto la luce le confezioni a lunga scadenza, in scatolette di tetrapack, con l'esterno in cartoncino e l'interno in un materiale plastico; quelle che dopo anni e anni non sai se vanno nel rifiuto differenziato carta o plastica.
Usa e getta, ovviamente.
Le latterie pian piano sono sparite, passando ai supermercati la distribuzione dei latti con aggiunte o detrazioni di sostanze, a seconda delle necessità o delle mode.

Nel martirologio delle plastiche, impossibile dimenticare l'uso in campo sanitario.
Nel cui ambito chi ricorda ancora le siringhe di vetro con relativo bollitore?
Sparite, in nome di una sicurezza e praticità innegabili, in un usa e getta che contribuisce alla creazione delle isole citate in apertura di post.
Chi frequenta o visita ospedali, ambulatori o case di cura o di riposo, avrà fatto caso all'uso continuo dei guanti di lattice, sfilati, cambiati e gettati con gesti quasi automatici, in quantità industriali.
Consumo di siringhe usa&getta che si è esteso prima alle abitazioni, poi ai parchi, poi alle spiagge...
I guanti: chi usa ancora quelli di gomma, riutilizzabili fino al loro consumo fisiologico? Sono ancora in uso nelle ditte di spurgo dei pozzi neri o delle tubature fognarie; nelle case sono stati sostituiti dai guanti in lattice, inventati a bella posta per poter essere jndossati una sola volta, quando sfilati sono inutilizzabili. 
Quindi gettati...
Nella differenziata della plastica.



E vogliamo ignorare il settore automobilistico?
Al tempo dei vuoti a rendere delle bottiglie in vetro, le autovetture erano fatte quasi interamente in metallo, erano esclusi gli interni nei quali non erano lesinati i tessuti.
Un incidente stradale, a parte gli eventuali danni fisici, era un ritocco al portafoglio. Limitabile se si aveva disponibile una carrozzeria bene attrezzata.
Esistevano i battilastra, che con martelletti, puntali, ventose, tassi, riuscivano a rimediare i danni, perlomeno quando possibile, con un ritocco sopportabile dei portafogli. I carrozzieri cercavano i migliori, contendendoseli, un po' come avviene oggi per gli chef nei ristoranti. Come questi, i più bravi diventavano bandiera dell'officina, che manteneva la ragione sociale solo in virtù delle fatturazioni.
I periti delle assicurazioni avevano vita facile nel riconoscere, dalle riparazioni metalliche, la gravità del danno e il relativo rimborso.
E le vetture avevano una vita, con un po' di fortuna che non guasta mai, quasi senza fine. Entravano a pieno titolo nel cumulo ereditario alla morte del proprietario.
Oggi? Il più piccolo contatto che provochi una crepetta nella carrozzeria obbliga al cambio radicale della parte danneggiata. 
Paraurti, parafanghi, cofani, tettucci, portiere, interni... ciascuno in blocchi di plastica, non riparabili... qualche bullone tiene insieme il tutto e basta una chiave inglese per denudare completamente il mezzo.
I pezzi cambiati? Al riciclo, come le bottiglie e i guanti e le siringhe e i sacchetti della spesa...

Ufficialmente la plastica, così come il vetro, la carta e il metallo, è tutta riciclabile.
Ufficiosamente, mi chiedo: ma allora tutta questa plastica che ci sta soffocando sui mari e sui monti e nelle città da dove proviene?
Stiamo spendendo soldi a palate per trovare pianeti su cui mandare la nostra spazzatura; non è che gli abitanti di quegli stessi pianeti ci hanno preceduto e ci mandano i loro rifiuti, con tanti saluti?
Corre voce (ma credo sia una notizia falsa, di quelle che vanno tanto di moda oggidì) che questi alieni, senza mai aver messo piede sulla Terra, abbiano piazzato dei meccanismi potentissimi che creano, qua e là a capocchia, una forza centripeta che attrae i materiali plastici, leggeri e indistruttibili, che loro differenziano nei loro pianeti.
Un impianto nel Pacifico, uno nell'Atlantico, altri di potenza minore, sperimentali, anche nel Mediterraneo e nei mari artici.
Avrebbero fatto questo cogliendo gli attimi fuggenti delle notti buie e tempestose (cit. Snoopy), quando sulle acque i traffici sono limitati e le telecamere spente.
Dopo di che gettano i loro rifiuti a casaccio, sui monti e sulle città, nei deserti e nelle pianure: sanno che saranno attratti dai loro marchingegni da migliaia di chilometri di distanza.
E questo, forse, è il motivo per cui i nostri monti e le nostre città, i nostri deserti e le nostre pianure, sono così puliti e senza traccia alcuna di plastificati (altra falsa notizia): finisce tutto nei mari.

Loro, forse, alieni.
Noi, sicuramente, alienati.