mercoledì 7 febbraio 2018

Dai, parliamone...

... a ruota libera, pensieri senza senso, tanto per passare il tempo in una giornata piovosa, ventosa e pure antipatica. Se al maltempo, che inviterebbe alla riflessione, aggiungiamo la gatta di casa in calore da giorni, che vaga miagolando furiosamente, tentando di uscire in giardino, con tre baldi miciotti che la aspettano fuori per festeggiarla... mi pare ci siano buoni motivi perché alcuni pensieri che vado ad esprimere possano 'sembrare' velenosi quando, invece, lo sono.

Tempo di elezioni.
Non lo scopro io, se ne parla, vagamente, con piccoli accenni, con delicati pistolotti sulla carta stampata e urla a pieni video, da tutti i generi di video, e da altrettanto diffusi sistemi di comunicazione.
Tempo di elezioni, tempo di verità assolute, tempo di bugie assodate.
Inutile qui elencarle, sia le verità che le bugie, dalla carta e dai video sono continuamente aggiornate, incrementate come premesse da chi promette (le verità) e ingigantite (le bugie), queste ultime chiaro esclusivo patrimonio della concorrenza.
Stavolta sono di moda le fake news, che in italiano sarebbero le false notizie. Create ad arte per danneggiare l'avversario diretto (o gli avversari).
Come quasi tutti i termini in lingua inglese ormai d'uso comune, esprimono concetti che vengono propinati in originale, non tanto come a vergognarsi di citarle in italiano, quanto contando sulla loro incomprensibilità da parte dei più e sulla possibile diversificazione delle traduzioni.
Per spiegarli poi, a proprio uso e consumo, a chi non li capisce o non li conosce o finge di non conoscerli, sperando che una traduzione fatta da 'chi sa' abbia un sapore più gradevole. Quelli più noti sono immancabilmente pilloli amari.
Al disprezzo come lingua consegue il disprezzo dell'italiano come persona, come individuo singolo o facente parte di un gruppo ben definito.
Genericamente conosciuto, nel momento attuale, come elettore o potenziale tale.
Evidentemente dire false notizie (quello che poi in realtà sono) sminuirebbe la loro internazionalizzazione, limitandone la diffusione al solo territorio d'influenza diretta.
Tant'è, si aggiungono a una lunga serie di definizioni, economiche e altro, che espresse in italiano darebbero un po' più di luce su quello che intenderebbero veramente comunicare.
E non credo sia solo questione di lingua... Astuzie semantiche pro domo propria.
Tempo di elezioni,
Tempo di Carnevale.
A questo periodo si riferiscono, e si sopportano, infinite deviazioni dalla vita 'normale' del resto dell'anno.
Intanto va in onda un'allegria (in questi tempi abbastanza immotivata) che sovente trascende in baldoria, talvolta con la variante della rissa.
Poi c'è il detto "ogni scherzo vale", che si accetta obtorto collo, finché non esce dai limiti di una umana sopportazione.
E ci sono pure le chiacchiere, in qualche zona dette bugie.
La differenza tra i due termini (entrambi di pasticceria passeggera, limitata a questo periodo) nell'uso comune sta nel fatto che le prime sono 'venticelli' che si spargono, magari ad arte, per divulgare il proprio pensiero e convincere vaste platee della bontà di questo. Possono aumentare di volume simil valanga, come nocciole che alla fine si ritrovano meloni. Talvolta sono innocue.
Le bugie, invece, quelle note soprattutto per avere le gambe corte, sono, in fondo, chiacchiere, create in forma già distorta nel momento in cui vengono partorite.
Per dire, questo post è una 'chiacchiera in libertà', che qui nasce e qui muore, senza creare danni o illusioni.
Le bugie prima o poi vengono smentite dai fatti, poiché, sempre per via delle gambe corte, non riescono a fuggire in tempo per non essere, appunto, poi sbugiardate.
Tra le tante (sicuramente troppe e anche di più) che vengono propinate alle platee (di probabili possibili elettori) ce n'è una che li accomuna tutti, fratelli coltelli che ritrovano una parentela cancellata su tutti gli altri temi, in nome di una possibile supremazia.
Anziché raccontarla, questa chiacchiera/bugia, ho preferito rubare una vignetta (di Giannelli, su Corriere della Sera del 4 febbraio 2018) che, con poche univoche parole, illustra una situazione che nessuno può negare o rinnegare.
Emblematico.

La conclusione della vignetta è l'ovvia conseguenza delle certezze, assolute e assodate, sull'operato dei nostri politici, presenti passati futuri.
Basta pensare a quando si parla troppo di tasse da tagliare; ci si rende successivamente conto dell'impossibilità tecnica per un taglio serio e si cambia il termine in corso d'opera, modificando il titolo in imposte (tasse giù, imposte su, Pantalone paga, quando va bene almeno quanto prima, e obiettivo centrato).
In vista delle elezioni non ci sono maggioranze assolute possibili o probabili, anzi le previsioni sono per un spezzatino che sarà difficile amalgamare nello stesso piatto.
Ciò nonostante, tutti e ciascuno dei contendenti continuano a escludere alleanze con chicchessia.
Sottinteso, fino alla notte del 4 di marzo.
Dopo, chi vivrà vedrà...

Se fatto pre elezioni si chiamerebbe accordo, se fatto post elezioni diventa inciucio.
Un accordo sarebbe troppo rischioso per chi che lo proponesse. In un accordo sarebbe possibile trovare dei punti di convergenza che alla base elettorale potrebbero non andare a genio; con la conseguenza di una possibile fuga verso altri lidi. Magari fuga non declamata ai quattro venti, ma messa in atto proditoriamente nel segreto della cabina elettorale.
Si sa, l'elettore è qual piuma al vento, come ridere che muta d'accento e di pensier già solo per uno sguardo ritenuto malevolo. Figuriamoci in presenza di accordi con i "vermi" concorrenti.
Con l'inciucio, invece, si troveranno altri punti convergenti (o magari gli stessi di prima più altri ancora, in base alle richieste di chi diventa indispensabile), che darebbero il quorum di eletti  necessario per governare.
Un accordo può essere respinto a priori, un inciucio deve essere accettato, magari motivandolo col supremo interesse della nazione e dei cittadini stessi, argomento che tocca sempre i cuori e convince i refrattari a questo genere di connubio.
Il già citato obtorto collo degli scherzi di carnevale...
Tanto le elezioni sono passate, e bisogna giocare, volenti o nolenti.

C'è poi un altro distinguo da precisare: la differenza tra promesse e impegni.
Una promessa, per antica tradizione, è un impegno che va mantenuto, costi quel che costi.
Che poi quei costi ricadano comunque sui cittadini è pinzellacchera, quisquilia di alcun peso specifico. Secondo alcuni pura demagogia.
A livello di promesse il meglio (peggio?) deve ancora venire; ogni mattino porta l'oro in bocca di allettanti novità. Tanto da essere diventate una sfida alla fantasia più sfrenata. E alla giornata elettorale manca ancora meno di un mese.
Un impegno, invece, è una promessa vincolata a fattori contingenti, che possono essere la presa d'atto della impossibilità tecnica di mantenere una promessa elettorale, ovvero la non collaborazione da parte dei perdenti, ovvero ancora l'assoluta e assodata incapacità a governare, ovvero il rifiuto alla collaborazione di inciucianti che non intendono rafforzare il potere dei vincitori.
Una corda al collo, passata su una trave, con i piedi poggiati su una sedia, che potrebbe essere ribaltata qualora i termini dell'inciucio non fossero rispettati.
Quelli proposti in questa campagna elettorale sono chiaramente impegni travestiti da promesse.
Ho già detto che siamo a Carnevale?
I partiti in lizza: a grandi linee (e ormai non sempre ben definibili) c'è una sinistra (che in un eccesso di fantasia chiameremo Tizio), una destra (va da sé, Caio) un gruppetto di ambidestri (potremmo definirli Macedonia?) e una forza nuova ([google non fare scherzi, se l'ho messo in minuscolo c'è un motivo, che forse a te sfugge ma è ben chiaro a chi legge], che, ça va sans dir, chiameremo Sempronio).
Tizio, Caio e Sempronio hanno, più o meno, una loro collocazione pseudo-ideologica; la Macedonia è composta da gruppetti minimali per i quali, a parte la speranza di riuscire ad affermarsi, Franza o Spagna purché se magna. Pronti ad accorrere in soccorso del vincitore in cambio di un ministero o di posti di prestigio che diano visibilità fino alla prossima tornata elettorale. Seminando, un po' qua un po' là, qualcosa alla fine in saccoccia gli rimane.

Il voto: viene richiesto come diritto/dovere del cittadino che vuole il già citato e ben noto bene della Patria.
Lo stesso 'bene' che viene promesso come impegno da tutti i partecipanti alla tenzone.
Viene sancito come diritto, acquisito col sangue di chi, oltre settant'anni fa, lo ha versato per ottenerlo. Credo che se questi martiri avessero potuto immaginare l'uso che, da tempo, viene fatto del voto, avrebbero lasciato perdere e alcuni di loro oggi sarebbero ancora vivi, magari a raccontare quelli che erano i veri ideali per cui combattevano ed erano pronti a morire.
Pare sia anche un dovere, ma non si capisce a che titolo.
Mettiamo che nessuno dei candidati, presentabili (forse per la bella presenza, non sempre per le qualità) o impresentabili (che comunque sono sempre quelli delle parti avverse, magari tutti  in blocco; i propri, si sa, sono tutti santi) sia convincente, sulla base di quello che dice o che fa, o anche sulla base di un passato non bene sbianchettato, o per troppe ciance male supportate...
Ebbene, c'è da chiedersi dove vada a finire il dovere assoluto di votare: sarebbe dovere il votare comunque, magari a occhi bendati e naso turato?

La libertà di non votare è ammessa, ma ha un prezzo che, quando va bene, diventa disprezzo.
Esempio, non esaustivo del problema: Tizio Caio Sempronio discutono tra di loro, iniziando pacatamente per poi animarsi, e infine alterarsi, prossimi a venire alle mani. Si rinfacciano a vicenda omissioni, reati, corruttele e chi più ne ha più ne mette; e c'è un Poveromo che assiste allo scontro, cercando di capire le ragioni e i torti, dell'uno e dell'altro.
Il poveretto viene invitato a parteggiare per uno, e uno solo, dei contendenti. Non ha capito i problemi, non li approva e non può parteggiare apertamente per uno solo dei tre, poiché uno gli è parente, l'altro gli è amico e il terzo gli è prezioso collega.
In pratica, non intende parteggiare per alcuno, detta in soldoni non intende votare.
All'improvviso, l'altrimenti innocuo Poveromo diventa la causa e il responsabile di tutti i mali che fino a poco prima si rinfacciavano a vicenda i tre.
E giù botte da orbi, in tre contro uno.
I Macedoni? Giocano a carte, del non-voto del Poveromo non potrebbe fregargliene di meno. Contano sulla fedeltà dei quattro gatti che hanno racimolato per via, con la sola speranza di superare la linea rossa che li taglierebbe fuori dalla competizione, relegandoli in una folkloristica tribuna.
Dal vero: un conoscente, sindaco di un piccolo paese di riviera, forse per far cessare i tiramenti di giacca provenienti da ogni parte, è sbottato su un social dichiarando a chiare e inequivocabili lettere che non sarebbe andato a votare.
Da chiedersi chi diavolo glielo ha fatto fare: il messaggio di commento più affettuoso lo invitava a dimettersi e sparire; anche incosciente-irresponsabile-menefreghista-traditore erano ben quotati.
Vien da pensare che questo sindaco abbia voluto provare l'emozione di un sondaggio per capire quanto il paese da lui amministrato fosse maturo e pronto, magari con un 100% di votanti effettivi, percentuale da sbandierare in seguito tra i vanti del suo Comune.
Oppure si è trattato di un scherzetto, rimasto senza dolcetto.

Che poi, sul non-voto ci sarebbe un risvolto della medaglia, solitamente trascurato. 
Restando sui tre citati, Tizio dice che il non-voto favorisce Caio e Sempronio, Caio dice che il non-voto favorisce Tizio e Sempronio, Sempronio dice che il non-voto favorisce Tizio e Caio.
Gli altri continuano a giocare a carte, indifferenti.
Come dire che chiunque salga più in alto sul podio avrà tratto vantaggio "anche" dal non-voto.
Con la possibile conseguenza che, in caso di nuove elezioni, la caccia al non-voto potrebbe diventare basilare per un sicuro successo, o perlomeno una valida alternativa alla ricerca di un voto casa per casa.

Coperture: ci sono quelle degli immobili, quelle dei copertoni riciclati, ci sono quelle del riparo dal freddo...
Nel periodo pre-elettorale le coperture sono (sarebbero) i soldoni necessari (secondo alcuni indispensabili) al mantenimento degli impegni promessi per il post-elezioni.
Queste coperture, che richiederebbero svariati (ma molto svariati) miliardi, sono liquidate con la lotta all'evasione e col taglio agli sprechi.
Lotta all'evasione: per tanto che si faccia frutta qualche milione di euri. Il ricorrente pensiero che, abbassando le aliquote fiscali, chi non ha pagato fin'ora si pentirà, con l'abbaglio di pagare meno, è pura utopia. Gli sponsali col fisco non prevedono il divorzio, se ne accetti l'abbraccio sarà abbraccio eterno. Di chi evade si può dire tutto, ma non che sia ingenuo o sprovveduto.
Taglio agli sprechi: fermo restando che i costi della politica, e annessi e connessi, non sono considerati sprechi ma addirittura risorse, altro da tagliare resta poco. Sanità, giustizia, trasporti, assistenza sociale, infrastrutture, posti di lavoro... ormai si farebbe prima a sopprimerli tanto sono ridotti, da tagliare ormai c'è più niente. Ci sarebbe la burocrazia, ma è un'entità talmente virtuale che sfugge persino a una valutazione del suo peso specifico; pesa moltissimo, si sa e si vive sulla propria pelle, ma è talmente evanescente che non si saprebbe da dove cominciare a tagliare.
Cominciano a girare voci di possibili condoni: fiscale (l'ennesimo, pagare meno per cancellare quanto dovuto al fisco ingordo); immobiliare (l'ennesimo, pagare per regolarizzare lo scempio edilizio in atto da decenni sulle coste, le montagne, le città); penali (l'ennesimo, pagare per ottenere riduzioni o azzeramenti di pene sancite da tre o quattro gradi di giudizio).
Potrebbe essere ammesso anche il pentimento giudiziario: chi commette un delitto, per esecrando che sia, con un atto di pentimento pubblico e pagando una piccola quota (pecuniaria, non gli storici tre- pater-ave-gloria) potrebbe ottenere la remissione del peccato, promettendo (tipo promessa elettorale) di non peccare più.
Tra i tagli allo studio si dice ce ne sia uno molto-molto interessante. Sotto-sotto (ma molto sotto) c'è chi darebbe in pasto agli elettori la possibilità di un taglio drastico nientepopodimenoche del debito pubblico. Da attuare prima della fine del primo mese dall'insediamento del nuovo governo. Cento miliardi minimo al giorno, duecento un altro giorno, tagliando fino all'ottenimento dello zero assoluto. Con il risparmio degli interessi che si pagano annualmente sarebbe possibile intervenire in tutti i settori vitali della Nazione. In primis il raddoppio degli emolumenti (oggi da fame) dei parlamentari, dei senatori, dei grand commis, e magari anche dei commessi, dei parrucchieri, dei cuochi, dei terapisti ecc. che svolgono l'eroico ingrato servizio della cura dei nostri cari (che più cari di così si muore). Se bomba sarà, verrà fatta esplodere solo agli sgoccioli della campagna elettorale, tenuta segretissima fino alle 23,30 di venerdì 2 marzo. Sarà la fine definitiva della sequela dei venerdì neri di infausta memoria. (Sembra, però, che si tratti di una fake news exaggerated, troppo leggermente fuori dal credibile. Comunque, sperare  non è sparare, e perlomeno non uccide).


Ultim'ora: 
Caio ha dichiarato solennemente che non ci saranno inciuci post-elettorali.
Tizio ha dichiarato solennemente che concorda con Caio, niente inciuci.
Potrebbe essere una forma di accordo pre-elettorale?
O, più probabilmente, si tratta di un inciucio ante litteram?

Ha smesso di piovere, il vento si è placato, la gatta continua a miagolare più furiosa che mai...
Fine delle chiacchiere, ma solo di queste chiacchiere. 
Col Carnevale ancora in corso, c'è tempo per farne altre, zucchero a velo e miele non mancano.
Buona serata a tutti.




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