domenica 23 maggio 2010

Coppa Campioni

Ieri, 22 maggio, l'Inter ha vinto a Madrid la Coppa Campioni. Ho visto la partita alla tele, mi pare che la vittoria sia meritata e che i complimenti ci stiano tutti. Per le due Coppe e per lo scudetto. E anch'io, granata, non li ho lesinati, proprio perché meritati.

Il felice esito dell'avventura interista, chissà perché, mi ha riportato alla mente un episodio di molti anni fa; indicativamente quando c'era ancora la lira. Me lo racconto da solo, non per timore di scordarlo, ma per avere ogni tanto il piacere di leggerlo come fosse stato scritto da un'altra persona. Un po' come, avendo assistito a qualche evento, quindi avendolo vissuto in prima persona, se trovi articoli fotografie riprese televisive, li leggi e le guardi come fossero commenti o immagini inedite, perché viste da altri occhi o, come si dice, da altre angolazioni.

Bene, apriamo il sipario.

Se (non sia mai!) questa o queste vittorie le avesse ottenute un'altra squadra, magari con gioco stratosferico, con una caterva di reti, insomma teoricamente meritate, il massimo segno di giubilo sarebbe un'alzata di sopraciglio e una sempre attuale domanda: quanto avete pagato? Oppure: cosa avete brigato sottobanco?

Premetto che, pur essendo granata da un mese dopo la tragedia di Superga, sono sempre stato in buoni rapporti con la controparte, nel rispetto reciproco; sfottò a fiumi, ma sempre nei limiti di quel minimo di educazione indispensabile nei rapporti tra persone eguali, pur nella diversità del credo (sportivo in genere, calcistico nel particolare).

Per dire: a causa del mio lavoro di allora, ogni domenica disponevo di un paio di biglietti per la partita della giornata, alternativamente dell'una e dell'altra maglia. Non potendo, sempre a causa del lavoro, andare di persona allo stadio (e a quei tempi era ancora un pomeriggio di festa, per le famiglie al completo) questi biglietti finivano ad amici, senza differenze di bandiera. C'era il barbiere, sfegatato bianconero, con il quale neanche nei derby più infuocati era possibile litigare, tanto era l'educato di base che impediva di trascendere; a lui e suoi amici in genere andavano i tagliandi di competenza.

A questo punto mi sono fatto, da solo, l'osservazione che forse il freno era proprio il fatto di ricevere questi biglietti, gratuiti. Mi rispondo: avrebbe avuto senso se questa moderazione fosse stata rivolta soltanto al benefattore; invece quella pacatezza era abbastanza generalizzata. Se mi fossi accorto, o fossi venuto a sapere di trascendenza da quanto descritto, i biglietti sarebbero finiti, strappati, nel cestino.

Altro esempio: il mio padrone di casa dell'epoca, veramente sfegatato bianconero, con buone disponibilità finanziarie, aveva deciso di fondare uno Juventus Club nel paese. Eravamo in ottimi rapporti, sia personali che di condominio, ma non ho mai capito cosa avesse trovato in me, notoriamente granata, da "costringermi" ad aiutarlo nell'impresa, fino ad obbligarmi a partecipare alla cerimonia di inaugurazione del club. Lui aveva la tesser a n. 1, non si è allargato al punto di offrirne una anche a me. Sono granata, ho aiutato un signore (lo era) a fondare un club avverso: non me ne sono mai pentito, perché era un brav'uomo e, nei suoi limiti, in gamba (aveva la quinta elementare, e con questo titolo aveva creato un'impresa che in zona andava per la maggiore).

I biglietti per gli amici granata non hanno storia, naturalmente. Ma anche tutti loro erano sulla mia lunghezza d'onda.

Fatta questa premessa, vado avanti con il fatto che la vittoria dei nerazzurri di ieri sera mi ha fatto venire ancora in mente. Voglio precisare che questa vittoria, con quanto racconterò c'entra come i classici cavoli a merenda. E' un po' come se guardare il mare ti portasse a pensare a cime innevate.

Dicevo, quasi in apertura, che il fatto risale ai tempi della lira. Ci sono stati momenti (ma proprio momenti) che la storia travagliata del Torino si prendeva una tregua. Non come quelle (poche) volte che la classifica è stata vista da posizioni verso l'alto, ma, diciamo, verso il cosiddetto centroclassifica, senza mire ambiziose ma, soprattutto, senza patemi da possibile retrocessione.

Bene, era uno di quei campionati di tregua. Non abitavo più nella zona, mi ero trasferito piuttosto lontano, in zone dove l'essere granata più che una fede è una rarità. Ma i rapporti, di lavoro e di amicizie, abbastanza sovente mi riportavano al nord. Ed era sempre una festa: abbracci ai granata e altrettanto agli juventini, tutti amici con maglie diverse.

In una di queste rimpatriate, gli amici avevano organizzato una cena in un ristorante verso il centro della città. Domenica sera. Quel giorno c'era stato il derby, e il Torino con una delle rare impennate d'orgoglio, aveva steso i bianconeri 2-0.

Era stata una partita normale, quanto può dirsi normale qualunque derby. Senza gli eccessi o i vandalismi attuali, che condizionano situazioni in negativo dentro e fuori gli stadi.

Ristorante. Tavolata di una dozzina di persone, tutti amici. Suddivisione per colori: due juventini (di cui uno figlio di padre granata, quindi innocuo, anche per la presenza del padre; se avesse banfato, questi gli avrebbe tagliato i viveri), uno della Spal, già allora messa peggio del Torino, quindi con voce molto flebile in capitolo. Gli altri del Toro, con le mogli costrette, pur fregandosene altamente dell'una e dell'altra casacca, a essere filo-granata.

Arriva il cameriere per le ordinazioni, e si inserisce nei commenti sulla partita con questa frase infame: "Oggi avete vinto, ma tanto l'unico obiettivo che il Torino ha raggiunto è stato Superga".
A parte il fatto che da cameriere si è subito trasformato in un grandissimo pezzo di merda, la frase ha avuto, su me in primis e sugli amici della tavolata, l'effetto peggiore che una randellata in testa con una mazza da baseball.
E' stata una coltellata al cuore, inferta a freddo, e gratuita.

Non abbiamo dato l'ordinazione, ci siamo alzati e siamo usciti da quel cesso.

Di solito alle provocazioni, anche di altro tipo, ho una risposta pronta, commisurata al peso della stessa provocazione. Stavolta, tanto era stato vigliacco l'attacco, mi sono trovato ammutolito, agghiacciato, marmorizzato.

Sono passati molti molti anni, ma ancora oggi, anche mentre batto queste noterelle, mi insulto e mi schiaffeggio da solo, per non avere trovato una immediata risposta a quel bastardo.

La risposta mi è venuta poco dopo, troppo tardi per sbatterla in fronte a quel miserabile:
"Il Torino ha centrato quell'obiettivo e ha perso la squadra, la Juventus ha centrato all'Heysel la Coppa dei Campioni senza perdere niente".

Da allora i miei rapporti con gli juventini hanno subito un ridimensionamento: da condivisione sportiva è diventata disprezzo; non perdo occasione per raccontare l'episodio a tutti i bianconeri che mi capitano a tiro.

La loro disapprovazione non riesce però a cancellare quella ferita.

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